Malanotte

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Malanotte – Recensione Narrante

La cattiveria sta nelle piccole cose, e spesso nei piccoli paesini di provincia. Quindi attenzione, non fatevi ingannare dal suo aspetto innocente e innocuo: il borgo di Malanotte non fa eccezione.

Questa è la recensione completa, ma non ha spoiler sul fumetto. Andate in pace

La Storia: una vecchia leggenda in un vecchio paese

L’horror è un genere che purtroppo viene ormai collegato a degli specifici immaginari usati e riutilizzati in tutte le salse, probabilmente scolpiti nella mente della maggior parte di noi e spesso collegati a uno scenario americano; i manicomi abbandonati, le sette religiose di stati sperduti degli U.S.A. (credo che lo Utah sia famoso solo per le sette cristiane), i serial killer, demoni vari, eccetera eccetera.

Quindi un horror tutto italiano potrebbe già destare stupore in alcuni lettori, figuriamoci poi se si ambienta in un piccolo paesino del centro/sud Italia, di quelli con un’età media di 80 anni, un immancabile castello medievale e le case di tufo. 

Per carità, a me mettono un’angoscia tale che sopravviverei mezz’ora prima di scapocciare e buttarmi giù dalle mura, però è un problema mio.

Malanotte infatti si ambienta fra gli anni 70 e 80 e racconta di un uomo, Aldo, che dalla grande città torna al vecchio paesino in cui era cresciuto prima che il padre vendesse la casa in fretta e furia per non tornare mai più.

Per un progetto universitario deve raccogliere e documentare alcuni detti, filastrocche e ninna nanne tradizionali, ma alcuni racconti popolari sembrano più oscuri di altri e, soprattutto, più nascosti dai popolani che vogliono solo dimenticare un vecchio segreto, in quel vecchio paese che è Malanotte.

La storia di Malanotte è, proprio come il paesino omonimo di cui racconta, tranquilla, apparentemente distante dall’essere inquietante e semplice. Poi, e sta qui la bellezza horror dell’opera, di colpo non lo è più. 

Diventa oscura in un modo veloce, improvviso, poche vignette in cui appaiono ombre che escono dai riflessi degli specchi, quanto basta a farti accendere le luci mentre leggi; e poi torna la calma, e sembra che non sia successo nulla. Ma il lettore sa che qualcosa è accaduto, e che deve starci attento.

Non è spaventosa, ma è decisamente inquietante, esattamente come una ninna nanna in cui si canticchia allegramente che un uomo nero ti verrà a prendere la notte, portandoti via dalla tua famiglia per sempre. 

Esattamente quel tipo di eccezionale, sottile ma efficace inquietudine, che trovo estremamente adatta a una storia basata su racconti e filastrocche popolari; semplice, ma ben eseguita, è così la storia di questo ottimo fumetto.

L’unica piccola critica che mi sento di fare al il finale, che risulta un po’ tronco; risolto il mistero sembra che la storia abbia un tasto di autodistruzione come le invenzioni del dr. Doofenshmirtz (re del maleee) e boom. Finisce e basta.

Non va a rovinare l’opera, però mi è dispiaciuto che il finale fosse così affrettato. Ma d’altronde credo vada così per le favole, finito il racconto esauriscono il loro scopo. E vissero tutti tristi e disperati.

I Personaggi: la banalità della cattiveria

I personaggi di Malanotte sono molto realistici, così realistici che fanno quasi paura. E forse dovrebbero. Non mi riferisco tanto al protagonista Ernesto e alla coprotagonista Sara, ma agli abitanti del paese.

I paesani ultrasettantenni infatti sembrano delle persone vere, e se avete dei nonni cresciuti in un paesino o ci siete cresciuti voi stessi, probabilmente vi ricorderanno qualcuno che avete conosciuto realmente

E sta qui la forza dei personaggi: per quanto mantengano il loro carattere “fumettoso” e semplice, la tenerezza, la rabbia, l’inquietudine o il fastidio che provocano non si fondano sull’immaginazione del lettore, ma sulla realtà

L’ipocrisia dei paesani è irritante perché è vera, così come la loro indifferenza o ignoranza, e questo va ad amplificarne gli effetti

Ad esempio gli anziani che non si fidano più a parlare al microfono perché una compaesana ultranovantenne è morta dopo essersi fatta registrare. Quindi ovviamente, per processo logico-scientifico, l’unica conclusione ovvia è che “il microfono porta jella”, a me ha irritato due volte;

la prima suscitata dalla semplice lettura perché “che fastidio le persone che ragionano così”, la seconda perché mi sono ricordata che anche mia nonna mi infastidisce quando ragiona così, quindi fastidio bonus istantaneo

Questo meccanismo funziona soprattutto con la cattiveria ignorante dei popolani, che è il motore della storia, quindi i personaggi garantiscono delle basi solide all’intero fumetto. 

E poi, in completo e aperto contrasto con questa versione paesana e ultrasessantenne delle mean girls, troviamo i protagonisti Ernesto e Sara, gli unici giovani e gli unici che sono scappati (o vorrebbero scappare) dalla mentalità del paese. 

Loro due devono rappresentare un punto di vista probabilmente più affine al lettore, quindi aiutano a calarsi completamente nella storia, ma in particolare Ernesto ha un po’ la sindrome del protagonista RPG;

è più sciapo degli altri personaggi, decisamente meno incisivo. Per presentare il punto di vista “esterno” e favorire l’immedesimazione si assottiglia per fare posto al lettore, sacrificando così un po’ del suo spessore individuale.

Onestamente non me la sento di sottolinearlo come un difetto, per un motivo molto semplice, anzi due. Il primo é che è un personaggio semplice perché deve trainare la storia, ma allo stesso tempo è piacevole pur non essendo incisivo. Fa quello che deve fare, che è poco ma fatto bene.

Il secondo è che Ernesto non è neanche lontanamente il protagonista: lo sono il paese e la pantafa, che infatti risultano decisamente più d’impatto.

La pantafa, ovvero la strega, la reietta, l’ostracizzata, la vittima e la carnefice, è la protagonista di tutto il fumetto, anche se per la stragrande maggioranza delle pagine di quest’albo non viene neanche nominata. 

Una vera leggenda che aleggia fra le pagine, i disegni, le parole e i silenzi dei personaggi. E anche se noi non la vediamo lei ci guarda, con quel suo grande occhio rosso che ci fissa.

La Narrazione: animazione e cinema neorealista

Uno degli aspetti che mi ha particolarmente colpito di Malanotte è l’aspetto grafico, ma non nel senso dei disegni, piuttosto nel modo in cui sono realizzate le vignette e nella scelta, o meglio non scelta dei colori.

Per quanto riguarda il “modo” dei disegni, i movimenti fra una vignetta e l’altra sono molto fluidi, come se ogni disegno continuasse armoniosamente quanto iniziato da quello prima. Non il ritmo, non la lettura, ma il disegno scorre in maniera estremamente fluida, quasi fosse un’animazione con pochi frame. 

Ora, magari sono io che devo farmi vedere da uno bravo perché vedo cose strane, ma vi giuro che mentre lo leggevo con un po’ di immaginazione potevo quasi vedere i movimenti dei personaggi. Sì, sì mi rendo conto che suona un po’ assurdo.

A questo si aggiunge la scelta del bianco e nero, che lo fa sembrare davvero un film, un po’ alla Persepolis (se aggiunto all’aspetto prima citato da animazione) e un po’ alla neorealismo italiano. 

In generale tutta l’opera è molto realistica nella narrazione della storia e dei personaggi, in particolare per quanto riguarda questi ultimi, dal modo in cui si comportano al modo in cui parlano. 

Tutto questo dà al fumetto un sapore nostalgico e molto italiano estremamente ben riuscito che lo fa sembrare un film anni ‘50 illustrato. Riesce a distinguersi, a colpire e a farsi notare grazie al suo guardare al passato. 

Però non è vecchio, e innova stilemi classici con un tocco di modernità dovuto dalla parte horror del fumetto, e l’inquietudine, usata con parsimonia, quando c’è si sente

È una narrazione horror anche abbastanza classica, con ombre che fissano nel buio e ragazzini inquietanti (c’entrano sempre i ragazzini quando si parla di horror).

Però quanto detto per la storia vale anche per la narrazione: Malanotte non fa paura, ma inquieta. La sua forza sta nel non detto, nel modo in cui la narrazione racconta degli eventi e trasmette un messaggio senza dire nulla. 

Parlano le ombre, i gesti, gli sguardi, il modo in cui è scritta o disegnata quella determinata scena. 

E attenzione, tutto questo senza colori, che comunque possono aiutare a trasmettere una determinata atmosfera, cosa che il fumetto riesce a fare solo grazie all’uso studiato di scale di grigi, luci e ombre. 

Ed è a quelle ombre che dobbiamo fare attenzione, perché potrebbero muoversi da un momento all’altro. 

Conclusioni e Voto

Malanotte è un fumetto semplice, e lo intendo nel modo migliore possibile. Fa poco ma lo fa bene, lo fa con cura

Ha qualcosa di particolare che pervade tutto il fumetto, una sua atmosfera specifica e nuova che nasce da delle premesse che potrebbero sembrare un po’ spiazzanti. 

Non è un fumetto di quelli che sconvolge il mondo, ma trovare un’opera pensata dall’inizio alla fine, ben realizzata, ben strutturata e innovativa a me ha sconvolto nel modo migliore possibile.

A parte il finale un po’ tronco, quando l’ho finito ho sospirato un “Grazie a Dio non ha iniziato bene per poi farla fuori dal vaso dopo tipo 10 pagine”, il che non è proprio scontato. 

 E poi in certi punti mi sembrava una versione italiana dello Studio Ghibli, cosa che personalmente ho adorato. 

Voto: 8 su 10

Obbiettivo stabilito e centrato

La storia sfrutta pienamente il suo potenziale, e all’inizio dell’intreccio non dà delle aspettative altissime che poi, nel proseguire della narrazione, non riesce a rispettare. Chi segue questa storia otterrà esattamente quello che cercava.

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Author

Cicala

Terza generazione in una famiglia di appassionati di cinema, figlia di un accanito lettore di fumetti che mi ha fatto giocare ad Halo ancor prima di insegnarmi a camminare, non avevo speranze. Leggo, gioco, vado al cinema e scrivo, poi se capita dormo. Lancio le mie opinioni nel vuoto di internet che tanto c’è di peggio in giro.

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