Ultramega – Prime Impressioni
Aggiungete alla vostra base di kaiju un buona dose di supereroi americani, amalgamate il tutto con dei colori vividi e condite con violenza e una spolverata di body horror. Ecco a voi, Ultramega.
Attenzione, queste sono solo delle prime impressioni, non è una recensione. Siccome parlo solo dei primi due volumi non vi preoccupate che non ci sono spoiler, se non cose che scoprite nelle prime 20 pagine. Andate in pace.
Quando l’ho visto la prima volta Ultramega mi ha incuriosita per i disegni che mi ricordavano vagamente Mike Mignola, per i personaggi che sembravano dei supereroi ma che combattevano dei kaiju e per gli elementi horror. Non è nulla di tutto questo, ma è esattamente tutto questo.
La Storia: Captain Kaiju
Allora, brevemente: ci sono i kaiju che fanno il culo all’umanità, perché sono dei kaiju ed è il dovere loro. E poi ci sono tre superuomini con poteri sbalorditivi e misteriosi che fanno il culo a loro volta ai kaiju, perché anche in questo caso è il dovere loro. Ecco a voi il dono della sintesi, ma adesso ve la spiego meglio.
Nell’universo narrativo del fumetto esiste un virus che infetta gli esseri umani e li trasforma, senza preavviso, in kaiju feroci, ma tre uomini hanno ricevuto un misterioso potere che gli permette di trasformarsi in Ultramega, superuomini giganti in grado di battersi contro i mostri per difendere le città umane.
Il primo volume racconta di Jason, uno dei tre paladini giganti, ex-pugile stanco e pieno di ansie nel dover difendere il mondo e il suo figlioletto appena nato dai giganteschi nemici;
il secondo si ambienta anni dopo e segue le avventure di Noah, un ragazzino che vive nella zona al di fuori delle mura della città sicura insieme a tutti gli infetti, e combatte contro una setta che adora i kaiju come divinità.
Io, come avevo detto nelle mie prime impressioni su Kaiju No.8, adoro queste storie con mostri giganti che si menano, quindi è molto difficile stupirmi, eppure Ultramega ha una sua particolare nota insolita e originale.
C’è una peculiare commistione fra tematiche e intrecci tipici della cultura kaiju giapponese e della cultura U.S.A., e devo dire che per il momento funziona.
Non risulta un mischietto né cane né pesce, piuttosto un sapore nuovo; gli Ultramega come idea e stile ricordano moltissimo dei supereroi americani, mentre le tematiche cosmico-kaiju ricordano di più uno stile nipponico.
Per quanto riguarda l’intreccio vero e proprio per il momento è pieno zeppo di azione e grottesco, ma per il resto non ha ancora mostrato né particolari pregi né particolari difetti. Non troppo emozionante, ma mi ha sicuramente incuriosita.
Si vede che è ancora un’introduzione e lo sviluppo vero e proprio deve ancora iniziare, ma sono ottimista.
I Personaggi: tra Shōnen e newyorchesi
Allora i personaggi sono pochi, in più i volumi sono due e con un importante stacco temporale fra i due, quindi non è che ci sia molto da dire per il momento.
Jason è il classico personaggio di mezz’età mediamente disperato e angosciato dalla vita che si trascina per le strade della città con il vuoto negli occhi. L’abitante medio di New York in effetti, un classico sempreverde.
Però il suo spirito estremamente combattivo e onestamente convinto, insolito per la classe di personaggi stanchi di vivere, l’hanno reso secondo me un personaggio interessante. È onestamente convinto dell’importanza del suo ruolo, in un modo o nell’altro.
Gli altri due Ultramega invece non si sono visti tanto ma mi incuriosiscono molto, soprattutto il costruttore di robot, spero di vederli nei prossimi volumi.
Poi, per i protagonisti del secondo volume, Noah è abbastanza il classico ragazzino impulsivo e con un grande ideale in mente, anche in questo caso un classico sempreverde narrativo;
ma a differenza di Jason per il momento non ha nessuna peculiarità che mi sento di sottolineare come pregio o difetto. Spero però che riesca a distinguersi meglio dal “generico protagonista adolescente di quasi ogni Shōnen che sia mai esistito”.
Ci sono dei personaggi secondari che invece promettono bene, come l’amica inventrice di Noah e il comandante della setta kaiju (un disturbante ibrido fra un bagarozzo e teschio rosso).
E poi i cattivi. I cattivi sono fighi, soprattutto la regina kaiju, non vedo l’ora di vederne l’evoluzione. Non si capisce quanto sia umana e quanto kaiju, quanto guidata da un lucido e consapevole senso di vendetta e quanto da una follia calcolata ma non consapevole.
In generale i kaiju, che qui possono anche parlare e avere dei comportamenti molto umani come la corruzione e la codardia (che bello, noi umani ci facciamo sempre distinguere per i pregi), voglio proprio vedere come saranno trattati, quanto si distaccheranno o innoveranno la figura del classico mostro che vuole sterminare gli esseri umani perché… boh, perché sì.
La Narrazione: violenza a colori
Come accennato all’inizio, l’intreccio è assolutamente intriso di azione e ha un ritmo abbastanza veloce.
In soli due volumi Ultramega racconta già molto, e per quanto siano introduttivi è un fumetto molto diretto, inizia la storia senza menare troppo il can per l’aia. In questi caso menano i kaiju però.
Poi, oltre all’azione, l’altro fattore evidente è la violenza. Chiariamo però, non stiamo parlando di violenza estrema alla Preacher, è una violenza da film di azione.
Quindi se siete quelli a cui piace la gore e la violenza gratuita, stateci lontani che non fa per voi. E intanto che ci siete state lontani anche da, non so, un po’ tutti, per questioni di pubblica sicurezza.
Ci sono degli elementi anche di body horror, soprattutto nella regina kaiju, ma credo sia probabile che il body horror e il grottesco aumentino nelle prossime pagine a guardare queste tavole.
Secondo me sarebbe un’aggiunta coerente con il fumetto, però se da una parte me lo aspetto e me lo auguro anche, dall’altra parte spero che non sfoci troppo nella violenza perché, allo stato attuale, striderebbe con la natura più action che horror dell’opera.
Poi si deve parlare dello stile grafico, perché i disegni sono molto interessanti soprattutto per una fusione parziale di stile americano e giapponese (ma sempre più tendente a quello statunitense) che è estremamente adatto a un fumetto simile.
Poi a me quando l’ho sfogliato a ricordato un po’ Mignola che per è uno dei miei dei del fumetto, quindi c’è anche una preferenza personale. Sono una persona semplice, vedo qualcosa che mi ricorda Hellboy e lo compro istantaneamente senza pensarci più di 4 secondi.
Anche i colori, tipo quelli neon delle copertine, sono molto forti e caratteristici, sicuramente perfetti per amalgamare il fumetto nel suo personale stile;
ma, voglio dire, il colorista è Dave Stewart che ha vinto una quantità quasi illegale di Eisner Award, quindi non serviva proprio che lo dicessi io per riconoscerne l’indubbio talento.
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